UTILIZZAZIONE DELLO PSICODRAMMA CON PAZIENTI DELL’ AREA BORDERLINE
Presentazione, scritta dal Dottor Claudio Ravani, Direttore U.O. complesse, SPDC e Territoriale di varie AUSL della Emilia-Romagna e Direttore Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche della AUSL unificata Romagna. Autore di oltre 100 pubblicazioni su psicoterapia e psicopatologia, prevalentemente in collaborazione con l’ Università di Bologna dove ha svolto docenze e co-docenze ( III Cattedra Clinica Psichiatrica e Scuola di Specializzazione Psichiatria UniBo ) e Corsi di formazione, tra cui Docenza Corso di Alta Formazione “Valutazione e trattamento dei disturbi di personalità”
Presento l’Articolo scritto dal collega Claudio Roncarati. Psichiatra e Psicoterapeuta individuale e di gruppo con formazione psicoanalitica.
Un lavoro che apprezzo molto. Finalmente un impulso creativo. Mi viene da pensare che qualcosa sta cambiando… Per entrare più in tema, sottolineerei maggiormente che la sperimentazione avviene nel contesto /setting allargato del Servizio pubblico e consente di individuare tipologie di pazienti altrimenti non trattati/trattabili nell’ambito della offerta attuale dei DSMDP. Mi sembra anche che l’esperienza del fallimento empatico ottimale, che è uno dei costrutti teorici su cui si fonda il riadattamento” Koutiano”proposto da Roncarati dello Psicodramma. per pazienti dell’area Bordeline, costituisca un “topos” terapeutico utile per tutti i contesti di trattamento del Servizio, specialmente dove si rischia la cronicizzazione delle relazioni, quando il fallimento empatico terapeutico non viene riconosciuto né esplicitato (lunghe relazioni terapeutiche o setting di riabilitazione istituzionale) diventando invece che un’esperienza dolorosa, ma utile al cambiamento, una esperienza “fallimentare abituale” che chiude la possibilità di “vedersi”, o riconoscersi. Mi sembra un ottimo lavoro, onesto e coraggioso. Ci vuole questo coraggio e questa disponibilità a mettersi in gioco per uscire dal “destino” monotono, provinciale e piattamente evidence based a cui sembriamo ormai costretti. Complimenti Claudio.
Claudio Ravani
Abstract
L’ autore riferisce l’esperienza di conduzione di un gruppo di Psicodramma a orientamento psicoanalitico presso il Centro Salute Menale di Rimini per pazienti dell’area “Borderline, con diagnosi all’ invio di Disturbo Bordeline di Personalità o di Disturbo con Tratti Misti, (Borderline, Evitanti, Dipendenti, Narcisisti). Alcuni pazienti hanno anche diagnosi di DCA.
Claudio Roncarati propone una modellizzazione dotata di pragmatismo ed operatività, funzionale alla sperimentazione nel contesto/ setting del Servizio psichiatrico territoriale, basata sui seguenti costrutti teorici: l ’ esperienza emotiva correttiva, l’empatia, il fallimento empatico ottimale.
Nell’ articolo espone i costrutti teorici e la tecnica terapeutica dello Psicodramma articolandole con la clinica mediante esempi, e riferisce i primi dati a distanza di sette mesi dall’inizio del gruppo. I risultati sono clinicamente interessanti e incoraggianti, consentendo, come ha scritto nella presentazione C. Ravani, di individuare una tipologia di paziente altrimenti non trattati/ trattabili nell’ambito della offerta del Dipartimento Salute Mentale Dipendenze Patologiche.
In the present study the author analyzes the results of a psycho-dramma group work, within a psychoanalysis approach, conducted in the Mental Health Center of Rimini. The study includes Borderline patiens, diagnosed with Borderline Personality Disorder or Mixed Personality Disorder (such as Borderline, Avoidant, Dependent, Narcissists). Some patiens are also diagnosed with DCA.
Claudio Roncarati suggests a pragmatic model, based on operational principles, functional for its experimentation in the territorial psychiatric health facilities and it is based on the following theoretical constructs: corrective emotional experience, empathy and optimal empathy failure. The author reveals the theoretical constructs and the psycho-dramma therapeutic techniques by illustrating clinical examples.
The study represents the first results obtained right after seven months of experimentation and they are clinically interesting and satisfying. As C. Ravani mentions in his presentation, these results bring to light a new approach for the non-treatable/untreated patients within the Mental Health Pathologic Dependencies Department’s cure program.
Introduzione
Da Giugno 2021 conduco un gruppo di Psicodramma a orientamento Psicoanalitico presso il Centro Salute Mentale di Rimini, gli incontri si svolgono settimanalmente e durano 90 minuti, collaborano con me come co-conduttrici Sabrina Ronchi, Assistente sociale (che è anche laureata in Psicologia) e Alessandra Fileni, Infermiera Professionale psichiatrica.
La percentuale dei pazienti in carico presso il nostro CSM risulta essere progressivamente e costantemente aumentata negli anni, sono Disturbi per cui la terapia farmacologica è scarsamente efficace, così come servono a poco i ricoveri. Ormai c’ è una chiara consapevolezza che per questi pazienti la principale terapia è la Psicoterapia, ma gli Psichiatri hanno un carico lavorativo che rende impossibile trovare il tempo per condurre psicoterapie e nel nostro CSM le poche Psicologhe sono totalmente dedicate a “percorsi “specifici: Esordi Psicotici, DCA, Disturbo Borderline con applicazione della Dialectical Behavior Therapy di M. Linehan.
Accedono al gruppo pazienti con diagnosi di Disturbo Borderline che hanno completato il percorso DBT traendone solo un parziale beneficio o che lo hanno interrotto o rifiutato. Nel CSM non c’ è la precisione nosografica che nella ricerca viene utilizzata per fare diagnosi ai pazienti. In generale i colleghi inviando i pazienti al gruppo hanno usato una espressione che appartiene allo Slang parlato nei servizi psichiatrici ossia “borderini” per distinguelri dai più impegnativi “borderoni”. I “borderini” corrispondono ai Disturbi di personalità con tratti misti: Borderline, Narcisisti. Evitanti, Dipendenti.
Il gruppo è quindi costituito da pazienti che possiamo definire come appartenenti al’ area boderline “allargata” dei Disturbi di personalità, Borderline e Tratti misti “borderini”.
Accedono anche pazienti con DCA e Disturbo di personalità con tratti misti, ma che hanno tratto scarso beneficio rispetto al trattamento cognitivo-comportamentale per i DCA condotto dalle Psicologhe del CSM o che non avevano i requisiti per accedervi.
Sono pazienti che in maggioranza non possono permettersi una psicoterapia privata , in due casi era in corso una psicoterapia privata valutata come scarsamente efficace , pazienti per cui i colleghi invianti hanno pensato che una terapia di gruppo supportivo-espressiva potesse essere di aiuto , e per cui hanno valutato che qualcosa fosse andato storto già durante l’ infanzia nel rapporto con i loro genitori e che ci fosse stato un fallimento ambientale di varia natura e intensità fino ad arrivare alla esposizione ad esperienze traumatiche protratte.
Procedo esponendo i costrutti teorici e la tecnica terapeutica usata, e articolandole con la clinica mediante esempi, poi riferirò i primi dati a distanza di 7 mesi dall’ inizio del gruppo.
La teoria
Nello Psicodramma psicoanalitico il dialogo con la Psicoanalisi è continuo. Tanti Psicoanalisti hanno dato contributi fondamentali a proposito di Trauma e fallimenti ambientali nell’ infanzia, da Ferenczi e Winnicot , fino ai più recenti apporti clinici e teorici , tra questi quelli forniti da Philip M. Bromberg del Boston C.P. Study Group (L’ombra dello tsunami), egli scrive che la psicoterapia di un trauma precoce è fondamentalmente relazionale: non libera il paziente da quello che gli è stato fatto nel passato, ma da quello che deve fare a se stesso e agli altri al fine di convivere con quello che gli è stato fatto, “la fonte primaria dell’azione terapeutica è la relazione, non qualcosa creato attraverso di essa”. Gli analisti ed i ricercatori del gruppo di Boston hanno studiato e approfondito il cambiamento dato dalla azione terapeutica attraverso “momenti di incontro “e modificazioni dei “modi di stare con”.
Quando ho iniziato la conduzione del gruppo di Psicodramma ho avvertito subito la necessità nell’ ambito del vasto e variegato sapere psicoanalitico, di utilizzare solo pochi chiari e accessibili costrutti teorici, per una modellizzazione dotata di pragmatismo e operatività, che fosse funzionale alla esperienza in corso nell’ambito del CSM con un gruppo di pazienti affetti da disturbo di personalità dell’area Borderline allargata ai tratti misti. Una cornice che desse i limiti dell’intervento terapeutico. Un modello che mi consentisse di definire con tutti gli operatori, (tra cui la maggioranza non parla “psicoanalitichese”), a quali pazienti, da un punto di vista non solo nosografico ma anche psicopatologico, si rivolge il gruppo e per fare cosa.
1)Faccio riferimento alla teoria del cambiamento terapeutico mediato da esperienze emotive correttive. Il concetto di “esperienza emotiva correttiva” venne proposto nei lontani anni ’40 da F. Alexander (La esperienza emozionale correttiva), le sue parole risultano ancora attuali: “In tutte le forme di psicoterapia eziologica, il principio terapeutico di base è lo stesso: riesporre il paziente, sotto circostanze più favorevoli, a situazioni emotive che lui non potè affrontare nel passato. Il paziente, per essere aiutato, deve passare attraverso una esperienza emozionale correttiva adatta per riparare l’influenza traumatica di esperienze precedenti…” il principale risultato terapeutico del nostro lavoro è la conclusione che il paziente… deve fare nuove esperienze emotive adatte a disfare gli effetti morbosi delle esperienze della sua vita.”
2) Faccio, inoltre, riferimento alla concettualizzazione della Empatia proposta da Hainz Kohut nell’ ambito della Psicologia del Sé, che contiene la importante indicazione operativa del Fallimento empatico ottimale, che specificherò al punto 3.
Uso il termine Empatia comprendendo in esso anche il Rispecchiamento (con riferimento a D. Winnicot e a P. Fonagy), la Sintonizzazione affettiva (con riferimento a D.Stern) e la Validazione (con riferimento alla DBT di M. Linehan).
“Il nostro primo obiettivo terapeutico è di fornire ai partecipanti una comprensione adeguata per fare si che il paziente si renda conto sempre di più che l’eco confortante della risonanza empatica, al contrario di quanto aveva sperimentato nell’ infanzia, è veramente possibile in questo mondo” (H. Kohut . La cura psicoanalitica).
Scrivono M.T. White e M. B. Weiner (La teoria e la pratica della Psicologia del Sè)
“Kohut propose che l’empatia fosse un prerequisito indispensabile per una riuscita sintonizzazione e che fosse terapeutica. Mise in rilievo come essa debba guidare una madre affinchè le sue reazioni nei confronti del bambino siano percepite come sensibile rispondenza”. Concordo con Stefano Bolognini (L’ empatia psicoanalitica) sulla necessità di distinguere tra Empatia e empatismo inteso come un atteggiamento buonista, l’aggressività esiste eccome, esistono l’invidia, la gelosia, la rabbia. Un ambiente familiare può ostacolare lo sviluppo di un bambino essendo coattivamente buonista e impedendoli di esprimere questi affetti, colpevolizzandoli a prescindere, oppure reagendo con simmetria alla aggressività del bambino, arrabbiandosi se il bambino si arrabbia e non riuscendo a contenere questi affetti. Occorre sapere anche riconoscere il bisogno del paziente di potersi sentire finalmente umanamente cattivo, normalmente egoista, banalmente irriconoscente.
3) Insegna H. Kohut, che non è possibile fornire costantemente la risposta empatica di cui l’individuo ha bisogno, ma è possibile evitare che gli inevitabili fallimenti empatici ripropongano una rottura delle relazioni. Quanto è maggiore il bisogno di rispecchiamento ed empatia quanto più difficile è tollerare le frustrazioni del bisogno. Vale per il gruppo quello che Kohut indica per la terapia individuale. “Dato che la richiesta del paziente di un rispecchiamento perfetto non può essere ragionevolmente soddisfatta, il terapeuta verrà inevitabilmente vissuto come deludente. Tuttavia, sempre secondo Kohut, nella misura in cui il terapeuta riconosce questi suoi fallimenti e attribuisce ad essi le reazioni dei pazienti, essi saranno fallimenti ottimali.” (Morris N. Eagle. Da Freud alla Psicoanalisi contemporanea).
In base a queste tre concettualizzazioni teoriche definisco il gruppo di Psicodramma che conduco come centrato su esperienze emotive correttive empatiche, ma l’obiettivo non è dare una risposta empatica incondizionata, bensì un bilanciamento tra empatia e inevitabile frustrazione del bisogno di empatia, che deve essere comunque sempre riconosciuto, validando ( termine preso dalla DBT di M. Linehan) i sentimenti di rabbia e delusione, rapportandoli alla storia del paziente ed a quanto è accaduto nel gruppo, così da arrivare alla frustrazione ottimale. Scrive Hainz Kohut: “Ogni frustrazione ottimale sarà seguita da una accresciuta capacità di recupero del paziente di fronte a eventuali carenze dell’empatia, sia nella situazione analitica che all’ esterno di essa”
La Tecnica
Lo Psicodramma è una terapia esperienziale e relazionale, grazie alla sua specifica tecnica basata su rappresentazioni, cambi di ruolo, doppiaggi, risulta particolarmente efficace nel fornire riconoscimento e rispecchiamento, identificazione con l’altro e sintonizzazione e risonanza affettiva. Cito dal Manuale di Psicodramma di Jacob L. Moreno: “Il soggetto o paziente agisce nel qui e ora”, a prescindere da quando sia avvenuto l’episodio reale che viene rappresentato. Il protagonista agisce come se tutto avvenisse al momento. Nella scena rappresentata, ad es. interazione con la madre, chi rappresenta la madre viene scelta dal paziente tra gli altri componenti del gruppo poi segue l’inversione del ruolo in cui il figlio si mette nei panni della madre e chi faceva la parte della madre si mette nei panni del figlio. Tutti i componenti del gruppo possono intervenire doppiando gli attori, ossia mettendosi alle loro spalle e dando voce ad un affetto o ad una emozione che sentono e che non sta venendo espressa. Nella discussione sulla scena rappresentata il paziente deve dire cosa ha provato nei propri panni ed in quelli della madre, anche l’altro paziente scelto come attore riferisce cosa ha provato quando era nei due ruoli. Tutti coloro che sono intervenuti come attori o doppiando, devono dire cosa hanno sentito, e anche chi ha assistito alla scena solo come spettatore riferisce quali affetti ed emozioni ha provato.
Il Primo obiettivo è di dare un nome alle emozioni provate, e condividerle, il focus è sul rendere pensabili le emozioni. Le intellettualizzazioni vengono fermate ricordando che siamo un gruppo esperienziale e ci servono parole per descrivere quello che si sente prima che per descrivere quello che si pensa. Vale per tutti anche per i conduttori.
La frustrazione ottimale.
Esempio clinico 1: Seduta del 12 ottobre 2021Presenti: Rosa, Giacinto, Iris, Dalia, Violetta, manca Lilla che per impegno di lavoro non può essere presente. Ai fini dell’esempio la protagonista principale è Violetta, ve la rappresento, cambiando il suo aspetto per tutelarne la privacy ma consentendovi comunque di farvi una idea di lei, come una mulatta con il corpo esile delle donne del Corno d’ Africa e con grandi, tristi, espressivi occhi di gazzella. Siede generalmente con le gambe accavallate, un po’ rigida, a volte con il capo reclinato. Parla poco, interviene raramente ma fa sempre commenti partecipi e sensati, sembra impegnata a esistere in gruppo il meno possibile, ma i suoi occhi seguono sempre attenti quello che avviene e come ha annotato in una trascrizione la Infermiera Alessandra Fileni sembra che dicano ““Ehi sono qui aiutatemi…sto male anche io!”. Violetta ha diagnosi di DCA e Disturbo di personalità non specificato con tratti misti. Gli altri pazienti che hanno un ruolo importante in questo episodio sono Dalia e Giacinto, entrambi hanno diagnosi di Disturbo Borderline, Dalia ve la rappresento come una donna giovane con lineamenti duri nordici, gli occhi azzurri. La sua storia è segnata da un grave fallimento genitoriale con aspetti traumatici e che ha reso necessario l’inserimento in casa-famiglia quando era minorenne. Il suo primo intervento è stato un’alluvione di dolore, tra le frasi che ha detto riporto queste: “io non ho ricordi belli, neanche uno, non ricordo un regalo per Natale o per il compleanno”, poi con la voce rotta dai singhiozzi ha aggiunto “Perché a me? Perché proprio a me è toccato questo?”. In quella seduta Dalia è uscita dal gruppo, dicendo che parlare le aveva riaperto dei tagli dentro, è andata in bagno sbattendo la porta, poi è rientrata.
Giacinto ve lo rappresento come muscoloso e tatuato, anche nel suo caso fallimento dei genitori, un passato da tossicodipendente con ricoveri in SPDC.
Prima di iniziare io e le co-conduttrici, abbiamo deciso di provare a chiedere, con garbo, a Violetta di proporsi. Avevo parlato di lei con alla collega che l’ ha in carico la quale mi aveva detto di avere avuto l’ impressione che la madre di Violetta fosse patologicamente depressa, per facilitare al lettore la rappresentazione della madre e allo stesso tempo cambiare le caratteristiche per tutelarne la privacy, riferisco che è lei quella che viene dal Corno d’ Africa, quindi assai probabilmente portatrice di traumi .La sollecitiamo a parlare e questa volta Francesca non comunica solo con lo sguardo ma interviene, parla del disagio costante nel rapporto con i genitori, definisce la madre come sempre distante affettivamente, io avendo in mente l’ informazione data dalla collega le chiedo se forse la madre potrebbe essere depressa, Violetta riferisce che pensa di si e di averlo capito anni fa quando cercando la madre che non rispondeva la trovarono riversa a terra, aveva tentato il suicido. (Riferirò poi alla collega questo drammatico episodio ci cui non le aveva mai parlato).
Violetta accetta di rappresentare un episodio in cui non si è sentita compresa dai genitori, una discussione in cui la sgridano perché non riesce a portare a casa risultati, non lavora, non studia. Lei ha provato a dirgli che però sta facendo la Babysitter per un bambino, è una attività che le piace, un piccolo passo ma per lei un grande passo, ma non ha ricevuto empatia. Il padre la esortava a impegnarsi, la madre rimaneva distante.
Sceglie Iris nella parte della madre e Alessandra che rappresenta il padre.
Inizia il racconto, intervie Sabrina Ronchi doppiando Violetta… “non mi avete mai dato incoraggiamento nelle cose che faccio”.
Io doppio Violetta e faccio una domanda che mira ad arrivare al cuore del problema “Mi ricordi mamma dei momenti belli trascorsi insieme, quando mi hai riempito di baci, quando abbiamo riso assieme”.
Cambio di ruolo, Violetta interpreta sua madre, si trova quindi a rispondere alla mia domanda e dice con espressione triste: “Non mi ricordo”.
Nuovo cambio di ruolo, Violetta interpreta nuovamente sé stessa, io la doppio e rivolgendomi alla madre dico “lo so mamma, tu mi hai voluto bene e mi hai dato quello che potevi darmi, ma è come che tu mi abbia lasciato dentro un freddo… vedi in questo momento il bambino di cui mi occupo per poche ore nella settimana, è un fuocherello che mi scalda, è quello di cui ho bisogno adesso.”
Nei commenti successivi chi ha giocato dice come si è sentito nei ruoli che rappresentava. Violetta dice che nei propri panni si sentiva in colpa verso i genitori e nei panni della madre si è sentita in colpa verso di lei.
Alessandra Fileni dice come si è sentita nei panni del padre che ha rappresentato come una persona ruvida e concreta.
Poi intervengono Iris e Rosa commentano entrambe che Violetta si sentiva non vista e fanno altri commenti che esprimono identificazione con Violetta.
Ma da questo punto comincia il fallimento empatico del gruppo verso Violetta.
Interviene Giacinto e dice: “io provo una grande invidia per Violetta… non ho avuto genitori uniti… i miei sono separati… ho seppellito il dolore di non averli avuti di non essere riuscito a farmi una famiglia come si deve…. ho tanta rabbia…”.
Interviene Dalia, tesa, nervosa, anche lei esprime dolore perché almeno Violetta ha avuto dei genitori presenti ma riesce a dirle che ha sentito il suo bisogno di calore.
Io mi rivolgo al gruppo, dico che è un momento molto importante, valido Giacinto perché ha espresso il sentimento di invidia che non è per nulla facile da riferire, e dico a Dalia che malgrado il dolore è riuscita a sentire il bisogno di calore di Violetta.
Dico che, Giacinto e Dalia hanno la pancia vuota di amore e affetto da parte dei genitori, le altre sembrano invece avere ricevuto cibo, ma un cibo difficile da digerire che ha componenti che fanno addirittura male. Ricordo che non è passato molto da quando Violetta in seguito a una mancanza di sintonia con il suo fidanzato ha fatto un gesto autolesivo. Sottolineo che anche se ci sono traumi diversi, il gruppo non si è diviso ma stiamo lavorando assieme, pensando assieme.
Poi il gruppo procede con la rappresentazione di un episodio di cui parla Giacinto in cui al termine del percorso in comunità terapeutica per tossicodipendenti la madre è stata convocata dalla Psicologa della Comunità per chiederle se fosse disposta ad accoglierlo nuovamente nella propria casa. Ma il rapporto tra Giacinto ed il nuovo compagno convivente della madre era pessimo, e lei fa capire che non ha nessuna intenzione di riprendere in casa il figlio.
Come si leggerà nella trascrizione della prossima seduta, c’ è stato un fallimento empatico del gruppo nel suo assieme verso Violetta. Il fatto che Giacinto abbia riferito il suo sentimento di invidia per Violetta non le è stato di nessun aiuto, così come l’intervento di Dalia in cui ha soprattutto insistito sulla propria pancia vuota. Il mio intervento non è stato sufficiente. La rappresentazione della scena di Giacinto ha rafforzato il vissuto che alcuni componenti del gruppo hanno storie troppo diverse dalla sua per potere comprenderla, vederla, sentirla.
Seduta del 19 ottobre 2021
Presenti Lilla, Giacinto, Rosa, Violetta, Iris. Assente Dalia, ha comunicato che oggi il corso professionale che sta seguendo finisce più tardi e non riesce a venire.
La protagonista della seconda rappresentazione è Iris, una giovane donna che si sente perennemente inadeguata e incapace di parlare in pubblico, non in grado di realizzare nulla nella vita, ma in gruppo è una risorsa importante, sa esprimere anche sentimenti di allegria, è capace di ironia e di autoironia, è spesso scelta come attrice dagli altri componenti. Diagnosi all’ invio DCA e disturbo di personalità non specificato. Anche per lei come per tutti gli altri pazienti modifico alcune caratteristiche.
Al termine del gruppo della settimana scorsa Violetta ha chiesto di parlare con Sabrina Ronchi, le ha riferito di essersi sentita giudicata da alcuni componenti del gruppo e questo l’aveva fatta stare male al punto di pensare di lasciare. Sabrina l’ha incoraggiata e esortata a venire oggi. Accolgo con sollievo la notizia che Dalia non sarà presente, la sua assenza rende il gruppo più bilanciato, voglio concentrarmi su Violetta, trovare il modo per aiutarla a rimanere in gruppo.
Dalia è sempre potenzialmente esplosiva, mi sono confrontato con la bravissima collega che l’ha in carico, siamo d’ accordo che la partecipazione al gruppo le ha risvegliato il vulcano di emozioni che ha dentro, la collega la sta sostenendo in questo periodo con lunghi colloqui settimanali.
Inizio la conduzione con l’obiettivo di trasformare il fallimento empatico del gruppo verso Violetta in un fallimento ottimale. Non mi rivolgo direttamente a Violetta ma comincio la seduta chiedendo ai componenti qualche informazione su come sta andando la loro partecipazione e su come si sentono in gruppo. Rosa dice che è contenta dell’esperienza, che la sta dando un aiuto e riesce a parlare un po’ di più delle sue emozioni, Iris dice che è contenta di venire al gruppo, sente che la sta aiutando e riferendosi alla volta scorsa, dice che è tornata casa piena di affetto per i suoi genitori, pensando che le poteva andare molto peggio, si è avvicinata alla madre ma … “non so mai se sarà affettuosa con me o se mi tratterà male, a volte non capisco perché sbotta e mi chiama stronza e puttana, una volta mi lamentavo di quello che c’ era in frigorifero e mi ha tirato addosso il salame”.
Violetta dice che all’ inizio stava molto bene in gruppo, ma poi con i nuovi inserimenti il gruppo è cambiato, la volta scorsa si è sentita giudicata, non valorizzata, non ha sentito di ricevere empatia e questo l’ha fatta stare male.
Giacinto dice che è contento di venire al gruppo, che non ha amici, ha lasciato perdere le cattive compagnie che frequentava prima dell’ingresso in comunità ed è contento di questa possibilità di parlare e confrontarsi con altre persone, poi rivolgendosi a Violetta aggiunge “con lei mi sento un elefante in una cristalleria, quando parlo la guardo preoccupato perché ho paura di avere detto qualcosa che la può avere ferita”.
Lilla commenta che non ha ancora capito come sta in gruppo, “venire mi dà forti emozioni ma non ho ancora capito se quando finisce ho più emozioni positive o negative”.
Mi rivolgo a Violetta valorizzando che è venuta, sottolineo che si nel gruppo ci sono storie personali diverse, e certo capisco come si è sentita in gruppo, capisco come per lei è doloroso non sentirsi vista avendo da sempre questo doloroso vissuto, riprendo le mie osservazioni conclusive del gruppo della settimana scorsa e dico che chi ha la pancia vuota forse fatica a empatizzare con chi nella pancia ha cibo anche se difficile da digerire, però nel gruppo sta facendo una esperienza tanto importante cioè che se non arriva la risposta empatica di cui avremmo bisogno non è sempre perché l’ altro è maldisposto verso di noi.
Dopo avere parlato di pance e cibo, penso che venga proprio bene chiedere a Iris se se la sente di giocare la scena del salame tirato addosso, lei accetta.
Chiede a Lilla di fare la parte della madre perché è una persona diretta che non fa giri di parole, come la madre. Prima della drammatizzazione Iris riferisce alcune frasi pronunciate dalla madre, tra queste l’accusa di essere assurda perché non mangia quello che c’ è in frigorifero ma poi ingurgita cibo che trova nel bidone della spazzatura. (Sapevo che era stata una anoressica grave, che si è assestata su condotte restrittive della alimentazione con momenti di perdita del controllo della impulsività in cui fa abbuffate, ma non sapevo che manifestasse anche questo sintomo che sappiamo non essere infrequente). Lilla di origine sarda fa ottimamente la parte della madre sarda di Iris e parla con un forte accento regionale, rappresenta una madre che non riesce a contenere il malessere della figlia ed il proprio, la accusa di fare delle storie, di farle perdere la pazienza, di essere assurda, dice che proprio non capisce perché non mangia un buon porceddu e poi mangia il cibo che raccoglie nel bidone. Iris pigola il proprio punto di vista, sembra un pulcino triste e spaventata, dice alla madre che è per la sua malattia, “mamma lo sai che è la mia malattia, lo sai che ho dei problemi con il cibo e insomma potresti farmi trovare quello che mi piace non l’affettato…hai sempre voluto che mangiassi quello che decidevi tu…”
Lilla / madre replica che non ha tempo per cucinare e che ha tanto da fare poi la tira addosso i foglietti di carta che simboleggiano le fette di salame.
Fileni doppia Iris e rivolgendosi a Lilla / madre le dice: “andiamo assieme a farci curare vieni con me da una psicologa anche tu hai bisogno di aiuto”. Violetta doppia Iris e rivolgendosi a Luna/madre la accusa di non vederla.
Cambio di ruolo. Iris fa la madre e replica: “no io non ho bisogno, è colpa di tuo padre, io volevo che ti ricoverassero, è stato lui a non farti ricoverare”. Io doppio Lilla /figlia e dico “mamma mi hai dato assieme cibo buono e cattivo e io ho dentro una grande confusione forse è per questo che sono così confusa tra il cibo che fa bene e quello che fa male, al punto da mangiare quello che trovo nel bidone”.
Iris / madre dice che non ne può più.
Le due interpreti dicono come si sono sentite. Iris si commuove, parla di un amore intensissimo e disperato per la propria madre, dei sensi di colpa per essere una figlia così difficile e nei panni della madre di essersi sentita esasperata dalla figlia.
Iris dice che è contenta quando passa del tempo con la madre anche se stanno assieme per ore sdraiate sui divani, tristi a non fare niente.
Violetta ha continuato a partecipare al gruppo, il riconoscimento della legittimità del suo malessere e le mie parole le sono state d’ aiuto a rappresentarsi che se non arriva la risposta empatica di cui avremmo bisogno non è sempre perché l’altro è maldisposto verso di noi. Le è stato d’ aiuto anche la corrente empatica che circolava nel gruppo, l’intervento gentile e premuroso di Giacinto che ha detto di sentirsi con lei come un elefante in una cristalleria ed ha espresso il suo timore di poterla ferire, e le sono state di aiuto le scene proposte da Iris e Rosa in cui si è riuscita a identificare. Quando doppia Iris, rivolgendosi a Luna/madre la accusa di non vederla, evidente che in questo c’ è molto del rapporto che ha con la propria madre, la circolazione di empatia tre lei ed il gruppo è ripresa, può darla agli altri e dagli altri può riceverla anche se non è un rispecchiamento empatico perfetto.
La frustrazione ottimale.
Esempio clinico 2: Un altro esempio di fallimento ottimale è fornito da un episodio verificatosi nell’ ultima seduta di novembre.
La protagonista è Lilla, che rappresento come sarda nell’accento e nell’aspetto fisico, ha come diagnosi di invio Distrubo Borderline. In risposta allo sfogo torrenziale di dolore da parte di Dalia di cui ho scritto ha replicato raccontando una storia familiare di liti continue, botte tra i genitori, povertà, inadeguatezza dei genitori, e rivolgendosi a Dalia le ha detto, “io ho più anni di te, quando ero piccola io non c’ erano tante case-famiglia. Io chiedevo io sperano io pregavo che mi portassero in una casa-famiglia”.
Giacinto per giocare una significativa interazione verificatasi tra lui ed il fratello sceglie Lilla dicendo che si presta a rappresentare suo fratello perché è affettivamente distante e diretta. Lilla protesta esprimendo rabbia e dolore e dicendo che non è d’ accordo con l’ immagine che il gruppo ha di lei come di una persona affettivamente distante, io interpreto questa sua dichiarazione come espressione di un fallimento del gruppo nel fornirle un adeguato rispecchiamento, accolgo e valido i suoi sentimenti che esprimono il bisogno di quel rispecchiamento empatico che non ha avuto da parte dei genitori e mi rivolgo al gruppo chiedendo ad ognuno di dire che rappresentazione ha di Lilla. Gli interventi sono tutti valorizzanti per Lilla, ogni componente con termini diversi riferisce che è importante per il gruppo, che ascolta sempre con grande partecipazione e i suoi interventi sono sempre profondi, io commento che il suo parlare poco non è causato da distanza affettiva, ma dal grande bisogno di rispecchiamento che ha e dal timore di non riceverlo esponendosi, il che la porta a ritrarsi difensivamente. Lilla sorride e si rilassa e partecipa ottimamente alla rappresentazione, nel ruolo del fratello di Giacinto, in cui tutti i componenti interverranno doppiando. C’è stato un bilanciamento tra esperienze empatiche emotivamente correttive e fallimenti empatici che sono stati riconosciuti validando i conseguenti sentimenti provati da Lilla.
Fallimento empatico in rapporto ai bisogni del paziente, con rottura della alleanza terapeutica.
Esempio clinico: L’ uscita di Dalia dal gruppo rappresenta invece un esempio di fallimento empatico in rapporto ai bisogni della paziente che ha portato alla uscita dal gruppo. Due giorni prima della uscita di Dalia dal gruppo sono stato testimone di un attacco feroce alla sua terapeuta, sono intervento entrando nel suo ambulatorio per aiutarla mentre Dalia e la madre che l’aveva accompagnata le inveivano contro urlando e investendola con una colata lavica di rabbia. Ho valutato con la collega che la partecipazione al gruppo era stata efficace nel ridurre la derealizzazione ma che questa era anche una difesa dal dolore.
Dopo questo episodio Dalia è venuta al gruppo del 23 /11, è arrivata in ritardo, nel gruppo circolava empatia e l ‘interazione tra i partecipanti era calda e solidale, lei è rimasta in silenzio con le braccia incrociate dopo un po’ è sbottata urlando che ascoltare i problemi degli altri le risultava insopportabile che ne aveva troppi lei, ha detto con forza che lei non ha bisogno di una terapia di gruppo ma di una terapia individuale, ha chiesto di uscire dicendo che stava per scoppiare, poi guardandomi mi ha detto “ lei mi ha visto come sono quando scoppio”, io ovviamente le ho detto che poteva uscire e che la capivo e che aveva ragione a reclamare una terapia individuale e invitandola a tornare solo quando riuscirà a tollerare i limiti della terapia di gruppo.
Nel gruppo è calato il gelo, Lilla ha detto “il troppo bisogno di essere visti impedisce di vedere gli altri”.
Dopo un poco è rientrata ma questa volta non l’ho riaccolta, avrebbe avuto bisogno che tutti i partecipanti rinunciassero al loro bisogno di essere visti per darle l’esclusiva, le ho detto che la sua partecipazione al gruppo era sospesa, le ho chiesto di uscire invitandola a parlare con Sabrina al termine della seduta. Mi è dispiaciuto, ho sentito l’intensità della sua disperazione ma il suo bisogno di rispecchiamento, empatia, validazione è così forte da impedirle nel gruppo di tollerare quella dose di frustrazione che è inevitabile nella terapia. Si ha ragione, le serve una terapia individuale, credo che con lei una terapia di gruppo possa essere proponibile solo se associata ad una terapia individuale, ma nel CSM di Rimini una terapia individuale l’ avrebbe solo se inserita nel trattamento cognitivo-comportamentale basato sul modello di M. Linehan, che comprende sia la terapia di gruppo, molto strutturata e organizzata in moduli, che la terapia individuale, anche se in realtà le Psicologhe del CSM sono in grande difficoltà nel garantirle entrambe. Dalia aveva rifiutato questa terapia.
Al termine della seduta di gruppo Dalia ha parlato e pianto con Sabrina, poi ha urlato contro Sabrina, poi ha agito la sua collera tirando sedie
Nota sul Controtransfert
Nella equipe abbiamo constatato come avere in mente il concetto di bilanciamento tra empatia e inevitabile fallimento empatico, dei conduttori verso i singoli paziente e verso il gruppo, e del gruppo verso un paziente, è di grande aiuto nella gestione del controtranfert. Un eccesso di identificazione con il bisogno da parte di ciascuno dei pazienti di ricevere il nutrimento empatico ideale può portare ad esempio a fare fatica ad interrompere i singoli interventi e “fare girare la palla” nel gruppo chiedendo ai componenti cosa hanno provato ascoltando un intervento e cosa gli è venuto in mente. Il rischio è di trasformare il gruppo di Psicodramma in una sequenza di colloqui individuali condita nel finale dalla rappresentazione di una scenetta.
Altro rischio se si accoglie troppo il bisogno di un nutrimento empatico ideale è di selezionare pazienti simili, sempre più simili per età, genere della sintomatologia, pensando che così si accresca la circolazione di empatia, ma le differenze sono utili per vivere le esperienze di frustrazione, che attraverso un riconoscimento empatico della delusione e della rabbia che comportano, possono diventare frustrazioni ottimale ed essere interiorizzate come trasformative.
In generale sapere che non è possibile dare una empatia ideale ma solo un bilanciamento di empatia e inevitabili fallimenti empatici dà ai conduttori un senso di maggiore sicurezza e protegge dal sentirsi in dovere di essere terapeuti ideali.
I primi dati.
A distanza di 7 mesi dall’ inizio, nel gruppo sono entrati dieci pazienti (nove donne un uomo), due hanno interrotto perché hanno trovato un lavoro il cui orario non consentiva di proseguire la partecipazione alla terapia, entrambe hanno riferito che l’ esperienza è stata positiva, in un caso la diagnosi all’ invio era Disturbo di personalità con tratti misti , (che come ho scritto nella introduzione corrisponde al termine “borderini” usato nello Slang del CSM), nell’altro era Disturbo del comportamento alimentare e ipotesi di possibile Disturbo di personalità con tratti misti Erano le due pazienti con sintomatologia, attuale e pregressa meno grave.
Una paziente è venuta una unica volta e non si è più presentata, questo è stato valutato come un errore nell’ invio dovuto alla mancanza del colloquio di ingresso in cui si spiega come funziona un gruppo di Psicodramma.
Cinque pazienti proseguono il percorso che considerano utile ed efficace. Tra loro due hanno diagnosi di disturbo Borderline, entrambi con ricovero in SPDC in anamnesi e in un caso pregressa tossicodipendenza.
Tra questi cinque, tre hanno diagnosi di Disturbo del comportamento alimentare e Disturbo di personalità con tratti misti.
Due casi su quattro di pazienti con DCA hanno riferito un miglioramento della sintomatologia del Disturbo del comportamento alimentare.
I casi di abbandono sono stati due, uno è quello di Dalia, riguardano pazienti con diagnosi di Disturbo Borderline in cui predominano rabbia e impulsività, dal riesame del loro percorso nel gruppo abbiamo preso atto che per pazienti Borderline con queste caratteristiche il gruppo di Psicodramma non può essere una alternativa alla DBT. Al’ inizio ci eravamo posti l’obiettivo di arrivare rapidamente a 9 partecipanti, con un rapporto terapeuti/pazienti di 1 a 3, ma abbiamo constatato come ogni uscita e ogni nuovo ingresso sia una piccola scossa sismica per il gruppo che ha poi bisogno di un periodo di assestamento, per cui anche se sono numerose le richieste da parte dei colleghi di nuovo inserimenti, procederemo programmandole mensilmente già a partire dal prossimo mese.
In conclusione.
Qualcuno ha detto che se ci rappresentassimo tutto il dolore del Mondo impazziremmo. Se vogliamo aumentare il contatto, “attivando tutti i neuroni specchio del’ empatia”, degli operatori dei Servizi Psichiatrici, con l’intrapsichico dei pazienti della Psichiatria, occorre fornire protezione agli operatori, la prima forma di protezione è la condivisione dell’esperienza e del carico affettivo che comporta. Ebbene io credo che lo Psicodramma nei Servizi possa essere promotore di condivisione, possono parteciparvi tutte le figure professionali, non solo Psichiatri e Psicologi ma anche Assistenti Sociali Infermieri e Educatori che possono essere co-conduttori (aiuto-registi), attori, doppiatori.
Se non avessi avuto la possibilità di condividere questa esperienza psicoterapeutica con Alessandra Fileni e Sabrina Ronchi non l’avrei iniziata. Grazie Alessandra. Grazie Sabrina. Voglio ricordare che lo Psicodramma contiene in sé, inoltre, un potente e specifico fattore protettivo, che vale sia per i pazienti che per i curanti, ed è la rappresentazione teatrale, che dai tempi delle Tragedie greche ha consentito alla umanità di trovare la giusta distanza dal dolore per renderlo rappresentabile e quindi pensabile.
Ma lo Psicodramma ha anche le caratteristiche della Commedia, può anche fare divertire, può rappresentare un lieto fine che si contrappone a come sono andate realmente le cose, (nella rappresentazione di Giacinto, con Alessandra nel ruolo della madre è partito improvviso e imprevisto un commovente abbraccio e la madre riaccoglie in casa il figlio), può sdrammatizzare, può fare giocare. Le fette di salame nella rappresentazione che riguarda Iris diventano fazzoletti, in un’altra rappresentazione un fucile diventa un dispensatore di Amuchina.
Con Violetta abbiamo rappresentato nel presente una scena (onirica) di un possibile futuro in cui lei in veste professionale è alle prese con un gruppo di bambini, tutti i componenti del gruppo hanno fatto la parte dei bimbi, è stato divertente e Violetta se l’è cavata benissimo.
Lo Psicodramma aiuta a realizzare l’indicazione fornita da Russel Meares in “Intimità e alienazione”: “creare un’atmosfera di connessione con un’altra persona che permetta al gioco simbolico di venire alla luce e che è necessaria per la nascita di una vita interiore e per giungere alla sensazione di essere vivi. È questo, dunque il primo compito di un terapeuta”.
Claudio Roncarati*
roncaraticlaudio@gmail,com
Ringraziamenti
Ringrazio il Dottor Marco Monari, Segretario Scientifico del Centro Psicoanalitico di Bologna per essere stato mio interlocutore durante la stesura dell’articolo, il gruppo riminese della SIPsA. Ringrazio la Dott.ssa Sabrina Ronchi, la IP Alessandra Fileni, le Colleghe psichiatre del CSM con cui ho collaborato.
*Claudio Roncarati è Psichiatra e Psicoterapeuta individuale e di gruppo con orientamento Psicoanalitico. La sua formazione nello Psicodramma è avvenuta con la SIPsA. Ha condotto per anni un gruppo di psicoterapia per pazienti ricoverati in SPDC a Rimini con relazione sull’esperienza presentata al congresso IIPG tenutosi a Comacchio. Ha organizzato con Fara editore un concorso letterario per combattere lo stigma psichiatrico, premiato con medaglia d’ oro dal presidente della Repubblica e con Raffaelli editore un concorso nazionale di poesia per pazienti in carico ai Servizi Psichiatrici, presentato al Congresso SIEP svoltosi a Rimini. Autore di vari articoli, tra cui “Psicoanalisi della Schizofrenia? Si, ma…” disponibile su Psychyatri on line. Si è occupato del Trauma anche utilizzando la narrativa, con il romanzo breve “L’ uomo della luce nera. Caso clinico presentato da Freud “Puntodoc edizioni, Noir psicoanalitico con introduzione di Marco Monari, segretario scientifico del Centro Bolognese di Psicoanalisi.
BIBLIOGRAFIA
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- Heinz Kohut “La cura psicoanalitica”. Boringhieri Milano 1986. “La ricerca del sé” Boringhieri Milano 1982. “Seminari” Astrolabio Roma 1989
- Russel Meares ” Intimità e alienazione “. Raffaello Cortina Milano 2005
- Paolo Migone ” Riflessioni cliniche sul lavoro del Psychotherapy Research Group”. On line su Psychomedia
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- Donald W. Winnicot “Gioco e realtà”Armando Roma 1974 “. Dalla pediatria alla psicoanalisi, scritti”Martinelli Firenze 1981