PSICOANALISI DELLA SCHIZOFRENIA? SI, MA…

psicoanalisi della schizofreniaLa psicoanalisi della schizofrenia , richiede il tempo ampio del lavoro artigianale e l’ esito clinico è incerto. Ricordo una nota ricerca condotta da Mc Glashan sul follow up  di pazienti schizofrenici ricoverati a Chestnut Lodge, celebre clinica psicoanalitica statunitense: in due terzi dei casi esaminati il trattamento psicoanalitico condotto senza utilizzare i neurolettici non aveva sortito risultati clinicamente importanti , ma in un terzo si . Certo questa ricerca ha dei  limiti, tra cui il principale consiste nell’ essere stata  condotta su pazienti curati all ‘ interno di una clinica, non esistendo negli U.S.A. nulla di paragonabile alla nostra psichiatria territoriale. Però quantomeno una indicazione la fornisce. L’ ultimo dei grandi e celebri clinici che hanno lavorato a Chestnut Lodge : Ping Nie Pao aveva proposto una differenziazione in varie tipologie  di schizofrenia che vanno  da un tipo “ conflittuale” che può essere curato ed anche guarito con la la psicoanalisi ad un tipo “ diffettuale” che non trae alcun giovamento dalla psicoanalisi.

Forse paghiamo il prezzo di una passata eccessiva fiducia nella psiconalisi, quando nei Servizi Psichiatrici si chiamavano come supevisori psicoanalisti a cui si chiedevano, senza esplicitarlo , capacità taumaturgiche. Preso atto che la psicoanalisi della schizofrenia richiede molto tempo a fronte di un esito incerto, in un clima culturale sempre più evidence based che fa della efficacia e della efficienza una ideologia,  si è verificata   un progressiva marginalizzazione della psicoanalisi della schizofrenia nei servizi psichiatrici , eppure se si leggono gli scritti di psicoanalisti che hanno curato con continuità gli psicotici , penso ad esempio,  a Searles ,a Racamier e in Italia a Orazio Costantino  non si può non provare ammirazione per la loro capacità di raggiungere una  conoscenza profonda della schizofrenia , una conoscenza partecipata che nasce da relazioni terapeutiche difficili, faticose, che hanno sempre le caratteristiche della avventura e della sfida.
Non può andare dispersa la grande complessità, utilità, ricchezza, del patrimonio di conoscenze cliniche e teoriche della psicoanalisi della schizofrenia.

In questo mio articolo  propongo  in  sintesi alcuni miei convincimenti , sul trattamento psicoanalitico della schizofrenia, maturati in decenni di lavoro in psichiatria . Sono uno psichiatra che ha sempre cercato di proporre una psichiatria psicoanalitica, all’ inizio con un atteggiamento fideistico, poi più critico ed ora forse ahimè un po’ nostalgico.

A) Già a partire dalla prima psicoanalisi l’ origine dei problemi nella schizofrenia era collocato nel rapporto del neonato con il seno , nel linguaggio di allora che faceva riferimento al modello pulsionale si diceva che il punto di fissazione della libido era nella fase orale, poi nell’ ambito di nuovi modelli e di nuove concettualizzazioni , in generale, per la psicoanalisi ,la schizofrenia  è sempre stata correlata ad  un fallimento precoce  nelle relazioni primarie tra bambino ed ambiente.
Orazio Costantino pare prendere una posizione decisamente ambientalista per  quanto concerne la patogenesi della psicosi e scrive di un “ clima traumatico ossia di una atmosfera relazionale di per sé capace di impedire lo sviluppo evolutivo “
In risposta a questa perentoria affermazione occorre citare  due noti  studi, orientati alla teoria dell’ attaccamento, che hanno seguito longitudinalmente bambini cresciuti in condizioni di rischio sociale fino alla tarda adolescenza , si tratta del Minnesota study di England , Sroufe e collaboratori e dello studio condotto da Karlen Lyons. Questi studi hanno cercato correlazioni tra tra pattern di allevamento e modalità di attaccamento durante i primi due anni di vita e la comparsa in adolescenza di sintomi di dissociazione. Solo un attaccamento disorganizzato ha mostrato una relazione statisticamente significativa con la comparsa di sintomatologia dissociativa. Questi studi non hanno dimostrato correlazioni significative con esperienze traumatiche, maltrattamenti documentati o ipotizzati per ragioni cliniche, patologia psichiatrica diagnosticata della madre. Risulta invece discriminante la qualità della relazione : lo stile comunicativo con errori nella comunicazione affettiva e confusione di ruolo. Per riassumere le conclusioni di Lyons- Ruth , “ l’ autrice prende in prestito un poetico aforisma di Dori Laub : il vedere e non comprendere della madre nell’ infanzia può costituire un contributo al sapere non sapere del figlio nella tarda adolescenza “ ( Giuseppre Sabucco ). A tutt’ oggi non sapiamo perchè il “ vedere e non comprendere” nei primi anni di vita, così come un attaccamento disorganizzato possano  produrre uno schizofrenico ma anche un border-line o una persona che non si ammala di una patologia psichiatrica maggiore. Tanti studi di epidemiologia e di genetica sembrano indicare che esiste una vulnerabilità biologica alla schizofrenia,. Memori dell’ abbaglio preso con la “madre frigorifero” individuata come causa dell ‘ autismo, oggi usiamo solo con grande prudenza la definizione di “ madre schizofrenogena”.
Personalmente credo sia  corretto considerare la Schizofrenia, da un punto di vista psico- patogenetico come espressione di un fallimento nell’ incontro tra l’ individuo  ed il suo ambiente , lasciando  poi che la  natura di questo fallimento ci venga rilevata caso per caso dalla conoscenza del paziente e dei familiari.  Non sappiamo se la responsabilità dei familiari abbia avuto a che fare con l’ inadeguatezza,  oppure semplicemente con l’ impossibilità per vari motivi di dare una risposta sufficientemente buona ai bisogni di un bambino  impegnativo e geneticamente predisposto ad ammalarsi di schizofrenia . Però, in una ottica psicoanalitica, un fallimento c’ è stato ed è  accaduto  a partire dalle prime e fondamentali  interazioni, già in un periodo precocissimo in cui la psiche è impegnata a  organizzazione le senso-percezioni e poi a  rappresentarsi le emozioni e gli affetti.
Questo fallimento si è  esteso poi  ad altre fasi  dello sviluppo  allargandosi  alla interazione individuo-ambiente anche al di fuori dell’ ambito familiare.

B) Parte da un mancato incontro sufficientemente buono tra il bambino piccolo e l’ ambiente una frattura nel rapporto con la realtà che con il manifestarsi della schizofrenia prenderà la forma di un catastrofico crollo dei confini dell’ Io , con confusione tra mondo interno e realtà esterna ed  esteriorizzazione massiccia di vissuti, esperienze, percezioni, fantasie. ( Per descrivere questa esteriorizzazione sono stati impiegati i termini di proiezione, identificazione proiettiva, forclusione).
Nella Schizofrenia si svilupperanno poi, in assenza di un efficace intervento terapeutico,  difese per cercare di non rivivere più questa esperienza catastrofica  che vanno dalla auto reclusione in casa ,al vagabondaggio come barbone (che è un modo per vivere sempre ai margini ), alla strutturazione di complessi deliri.
Che caratteristiche ha il primo incontro tra un bimbo piccolo e le persone che amandolo si prendono cura di lui ? E’ un incontro appassionato, giocoso ,c’è tatto,intimità  sollecitudine , empatia.
Tutte le relazioni che lo schizofrenico difensivamente costruisce sono prive di queste caratteristiche, sono algide, distanzianti, l’ incontro con l’ altro mediato dal desiderio , l’ intimità, sono pericolosi ,vale non solo per lo schizofrenico , vale per tutti  : si ha paura di ciò di cui si ha troppo bisogno.

C) Possiamo dire che il danno avvenuto in una fase molto precoce della vita  e costituito da un mancato incontro sufficientemente buono tra il bambino e chi lo allevava,ossia  un fallimento relazionale precoce tra l’ individuo ed il suo ambiente. ha colpito le fondamenta della mente e se si vuole provare a ripararlo con la psicoterapia , allora bisogna mettere le mani nelle fondamenta danneggiate . Solo la psicoterapia psicoanalitica della schizofrenia cerca di intervenire direttamente su quel danno. Da queste convinzioni sulla psico patogenesi della schizofrenia  deriva quello che è il peculiare e specifico approccio terapeutico della psicoterapia psicoanalitica della schizofrenia, Quando il trattamento è psicoanalitico il rapporto terapeutico è da costruire e da mantenere non solo con il paziente adulto che sta davanti al terapeuta ma anche con il bambino che quel paziente è stato. Nel bambino che il paziente è stato c’ è  il fallimento dell ‘incontro primario con il suo ambiente che ha poi condizionato tutta la sua vita relazionale. Non c’ è psicoanalisi senza il tentativo, condotto ,in parallelo all’ incontro con l’ adulto, di ascoltare quel bambino e di parlare a quel bambino. Il terapeuta fornisce al paziente una esperienza relazionale tale per cui il fallimento primario nell’ incontro con l’ ambiente  si può manifestare nel rapporto terapeutico e all’ interno della relazione. Il paziente si sente innanzitutto accolto e rispettato, poi progressivamente pensato e compreso. In ogni seduta  mese dopo mese, anno dopo anno, la mente del terapeuta è disponibile per un nuovo incontro basato  sulla sintonizzazione e sulla empatia anche con stati primitivi della mente e con stati di angoscia primari pre- verbali e pre- simbolici, in questo nuovo incontro che , a mio parere ha le caratteristiche di una esperienza emotiva correttiva rispetto al mancato incontro primario sufficientemente buono ,  diventa possibile veicolare  un senso alle comunicazioni  del paziente divenute distorte e bizzarre. Per usare le parole di Costantino : fornire   concordanza emotiva e trasmettere  un senso del reale.
Nel saggio  “ Le costruzioni nella psicoterapia psicoanalitica della schizofrenia “, contenuto in “ Psicosi e dintorni”, O.  Costantino scrive che dopo una seduta molto intensa con una  schizofrenica,la paziente intasa la segreteria telefonica con comunicazioni riguardanti un ricordo delirante in cui lei alla età di 2 anni avrebbe subito una violenza anale da parte di un cugino di 8 anni.
Al di fuori della psicoterapia psicoanalitica questa comunicazione sarebbe  liquidata come una bizzarria , come un delirio, invece lo psicoanalista, avendo bene in mente sia la storia della paziente, sia gli accadimenti interni alla relazione terapeutica  cerca di trovare un senso. Pensa che la comunicazione sia una conseguenza del fatto che nella seduta precedente la aveva costretta “ a liberarsi dei suoi segreti”, “quasi come una applicazione di quel clistere che la madre le praticava per la stipsi “
In questa testimonianza clinica c’ è tutta la unicità e la specificità della psicoanalisi della schizofrenia.
Si può  affermare che mentre altre forme di psicoterapia stabiliscono un dialogo con la parte non psicotica dello  schizofrenico, lo psicoanalista cerca di parlare anche alla parte  folle e per farlo è  disposto a imparare lo “ schizofrenese”.
Colpisce l’ attenzione per l’ aspetto sensoriale dell ‘esperienza, lo sforzo del terapeuta per cercare una sintonizzazione pre-verbale.  Ha in mente sia la paziente adulta sia la bambina che è stata e cerca di stabilire un contatto con entrambe. Il terapeuta si è  interrogato sulle comunicazioni lasciate in segreteria , ha pensato che nella seduta precedente era stato intrusivo ed ha colto che la intrusività era stata vissuta dalla paziente come una esperienza molto sensoriale , come una intrusione anale .
Non so se il senso trovato dall’ analista è poi stato condiviso anche dalla paziente ma certamente l’ esperienza fatta di un terapeuta che cerca di avvicinarla , di rappresentarsi quello che lei sente, è  preziosa. Mi viene in mente l’ immagine di una persona intrappolata in una caverna sotterranea e di un soccorritore che cerca di raggiungerla scavando un tunnel e lancia segnali sonori per comunicarle che si sta avvicinando.
Attenzione però che il lieto fine non è affatto scontato. Usando  ancora la metafora speleologica si può dire per dire che con tanti schizofrenici il terapeuta soccorritore trova una parete di roccia   che non cede, riesce ad  avvicinarsi al paziente ma non è gli è possibile liberarlo dalla caverna della psicosi. Spesso il tentativo di raggiungere il paziente schizofrenico porta a sbattere   contro uno  strato duro e impenetrabile  costituito sia da difese granitiche per proteggersi da tutto ciò che lo potrebbe esporre al rischio di provare ancora angosce relazionali insopportabili , sia  da una componente endogena, organica : sappiamo che il fallimento dell’ incontro primario tra l’ individuo e l’ ambiente si inscrive nel funzionamento cerebrale, così come ormai sappiamo che le moderne metodiche diagnostiche consentendo di visualizzare il funzionamento cerebrale hanno dimostrato come ogni scompenso psicotico sia paragonabile ad  una sorta di infarto del sistema mente- cervello che causa la morte di molti neuroni con perdita di sostanza grigia encefalica , se al primo scompenso il cervello riesce a rimediare ai danni attivando nuovi collegamenti sinaptici , il ripetersi degli scompensi lascia danni permanenti.

D) Nei servizi psichiatrici  sembra che abbiamo progressivamente rinunciato a instaurare una relazione terapeutica non rivolta solo al paziente adulto ma anche a quel bambino ferito che il paziente è stato, generalmente  con gli schizofrenici  si privilegiano interventi riabilitativi certamente utili ma che da un vertice psicoanalitico  appaiono come un  accordo per  un accettabile  falso sé imitativo e compiacente  che comunque rappresentano una efficace difesa , come ci ha insegnato Winnicot, dalla angoscia psicotica. In tanti casi è la sola difesa possibile. Si propone  ai pazienti di fare teatro, giocare a calcetto, partecipare a gite , se accettano siamo contenti e non ci chiediamo  mai troppo a lungo se queste attività sono la realizzazione  di un loro desiderio o sono la adesione  imitativa al  nostro. Lo sappiamo noi , lo sanno loro ,sempre meglio un funzionamento etero-diretto che non perdere ogni rapporto con la realtà condivisa.
Nei servizi si parla sempre meno  di maternage , non si parla più di reverie ossia di quell’ atteggiamento sognante dell ‘ analista che per Bion era indispensabile nella analisi di uno psicotico . Immaginatevi  se un giovane psichiatra appena assunto si presentasse al primario dicendo : “ per curare in modo ottimale i miei pazienti schizofrenici chiedo di essere messo nella condizione per potere mantenere un atteggiamento sognante con loro”, verosimilmente quel giovane psichiatra non supererebbe il periodo di prova. Ormai è in disuso anche la preziosa concettualizzazione di Winniot dell’ area transizionale, quell’ area che origina nella prima infanzia grazie alla presenza di una madre sufficientemente buona, area intermedia tra il soggettivo e l’ oggettivo, tra il me e  l’ altro da me, da cui origina la capacità di giocare , di dare una propria coloritura soggettiva al mondo senza delirare. Non ne parliamo più ma gli schizofrenici continuano ad avere  un disperato bisogno dell’ area transizionale.
Tanti anni di lavoro nel servizio pubblico mi hanno dato la profonda convinzione che la psicoterapia psicoanalitica della schizofrenia è  possibile solo se nei servizi esiste una organizzazione in grado di permettere al terapeuta ( psichiatra o psicologo) di  accogliere nella sua mente il paziente dando un contenimento paragonabile a quello di una gestazione nel grembo. Perchè questo avvenga il terapeuta ha bisogno di tempo, di un tempo diverso da quello aziendale che viene misurato con criteri di efficacia e produttività .
Non è possibile parlare di psicoterapia psicoanalitica della schizofrenia se il terapeuta non può  dedicare al  paziente almeno qualche ora  del suo tempo lavorativo settimanale. Ore indispensabili per stare con il paziente ,per pensare al  paziente e alla relazione terapeutica, per attendere con il paziente, per rimanere in silenzio con il paziente, per incontrare i componenti della equipe che si occupano di lui e per aiutarli a metabolizzare le angosce persecutorie e depressive che si depositano nella equipe, e poi per parlare di tutto questo se non con un supervisore almeno con qualche collega con cui c’ è sintonia professionale. Il trattamento psicoterapeutico di uno schizofrenico deve inoltre prevedere anche  il riposo dopo ogni seduta essendo molto impegnativo. La mente del terapeuta, provata dalla tendenza della parte folle del paziente schizofrenico  a farle provare la  pazzia, a svuotarla di senso, a fondersi e confondersi in essa , ha assolutamente bisogno di riposo prima di potere tornare ad essere in grado di accogliere un altro paziente.
Insomma io credo che che un terapeuta possa avere in psicoterapia psicoanalitica solo un piccolo numero di pazienti schizofrenici cui deve però dedicare la maggiore  parte del proprio tempo lavorativo. Questo  purtroppo non avviene, pare che sia incompatibile con le esigenza aziendali .
Esprimo la mia perplessità rispetto alla possibilità che la  funzione mentale di grembo contenitore possa essere svolta dalla mente gruppale della equipe,  per la mia esperienza l’ equipe che si occupa del paziente ha a sua volta costante necessità di essere contenuta nella mente del terapeuta. L’ equipe orientata in senso psicoanalitico  non consente al terapeuta di risparmiare tempo , anzi richiede che il terapeuta le dedichi del tempo , molto più tempo di quello da dedicare ad una equipe che si occupa prevalentemente della gestione di routine dello psicotico.
Nei servizi in cui ho lavorato sono stato testimone di come se la mente del terapeuta non è messa in grado di svolgere una funzione di grembo contenitore, inesorabilmente terapeuta ed equipe  rinunciano ad intenti trasformativi sul mondo interno del paziente  e mettono in primo piano l’ essere nel mondo esterno del paziente. Così si parla di alloggio, di esperienze lavorative protette, di occasioni di svago, di gestione del denaro. Tutti temi importanti per i quali  ci si adopera con responsabilità e   impegno ,  ma  senza  utilizzare il modello psicoanalitico a cui vengono preferiti altri modelli più  pragmatici ed operativi.

La psicoanalisi della schizofrenia richiede molto tempo a disposizione e l’ esito è incerto , ma molto tempo da dedicare e incertezza sull’ esito finale a ben pensarci, non rappresentano  un disvalore , sono caratteristiche proprie anche della creazione artistica ,dello sposarsi e formare una famiglia , delle esplorazioni spaziali, di gran parte della ricerca. Ci possiamo chiedere se la psicoanalisi della schizofrenia non rientra in quelle aree della esistenza umana dove, per citare una famosa opera filosofica , ossia “Essere e Tempo “ ci si trova in un diverso essere nel tempo rispetto a quello di una azienda della salute, senza nulla togliere al  valore della organizzazione aziendale ma riconoscendo parimenti anche il valore della psicoanalisi .