La Mentalizzazione nella Psicoterapia psicoanalitica e come fattore terapeutico comune delle psicoterapie efficaci .

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La Mentalizzazione nella Psicoterapia psicoanalitica e come fattore terapeutico comune delle psicoterapie efficaci .

 

Ho conosciuto la Mentalizzazione e Peter Fonagy studiando la  Terapia Basata sulla MBT con la speranza poi non realizzata di applicarla con i pazienti Bordeline presso il Centro Salute Mentale per cui lavoravo, nel periodo in cui i servizi pubblici psichiatrici iniziavano ad essere investiti da quella che gli epidemiologi hanno definito “ epidemia Borderline”.

In quel periodo ho anche fatto un training con  la Psicoanalista Alessandra Lemma  ( Tavistock Clinic) , collaboratrice di  M . Target e P. Fonagy organizzato da Professor. Mario Rossi Monti presso l’ Università di Urbino, sulla Terapia Dinamica Interpersonale, è stata una utilissima esperienza formativa e la mia rappresentazione dell’ Inconscio conflittuale, che pure cercavo di integrare con la Psicologia del Sé di Kohut, è stata completata da una chiara  rappresentazione dell’ Inconscio implicito/procedurale  (tonerò nell’ articolo su questo concetto), ed  ho appreso  l’ insegnamento sulla importanza di fare  attivamente domande mentalizzanti per entrare nel vivo del mondo relazionale del paziente, rendere esplicito ciò che è diventato procedurale, individuare assieme a lui i pattern  interpersonali inconsci dominanti e ricorrenti  che hanno le caratteristiche dell’ automatismo e che gli causano sofferenza.

La Terapia basata sulla Mentalizzazione  MBT di Peter Fonagy è un modello strutturato creato per i pazienti Borderline, e che sta venendo applicato con successo anche per i gravi disturbi del comportamento alimentare, prevede contemporaneamente sia la psicoterapia individuale condotta da un terapeuta  che di gruppo  condotta da altri due terapeuti.

Peter Fonagy ha anche proposto una chiara e documentata concettualizzazione della Mentalizzazione come fattore terapeutico comune delle psicoterapie individuali efficaci anche al di fuori dell’ area Bordeline .

Mentalizzazione è un termine che in sintesi corrisponde alla funzione riflessiva e possiamo definirlo come la capacità di avere in mente la propria mente e di rappresentarsi la mente degli altri e quindi è la capacità di vedere la propria mente dall’esterno e la capacità di vedere la mente degli altri dall’Interno. Il bambino può imparare a mentalizzare solo se la sua mente è nella mente di chi si prende cura di lui.

Scrive Fonagy in Attaccamento Stati Borderline e Funzione Riflessiva che la comprensione del mondo mentale fa  parte di una linea di sviluppo che inizia a partire dalla risonanza affettiva nei primi mesi descritta da Stern con risposta all’ umore di un altro a partire dagli 8 mesi, fino alla comprensione delle intenzioni degli altri che inizia verso i 14 mesi. Una conoscenza piena del proprio e degli altrui stati mentali che permette la funzione riflessiva si sviluppa nel terzo e quarto anno di vita .Basandosi su una mole impressionante di studi sullo sviluppo infantile Fonagy ci insegna che la capacità di mentalizzare si sviluppa al termine della prima infanzia e un deficit nella acquisizione di questa capacità provocato da un fallimento ambientale, fa si che nella persona permangano modalità di pensiero pre/mentalizzanti  (equivalenza psichica , fare finta,e modalità teleologica,  che caratterizzano il pensiero del bambino nei primi anni di vita ).

La Mentalzzazione nasce all’ origine dall’ incontro della mente capace di mentalizzare dell’ adulto con quella del bambino, è un processo congiunto, collaborativo, possibile se  prima di una conoscenza verbale esplicitata  si attiva la conoscenza relazionale implicita che nel rapporto tra il bambino ed i care giver, (come in Psicoterapia tra paziente e terapeuta ), è legata alla sintonizzazione, al rispecchiamento,  al sentirsi compresi, all’ effetto trasformativo dei momenti di incontro, ai riconoscimenti reciproci. Scrivono a questo proposito Allen, Fonagye, Bateman in “ La mentalizzazione nella pratica clinica” :  “ la mentalizzazione esplicita è la punta di un iceberg: prevalentemente nelle relazioni interpersonali mentalizziamo implicitamente senza riflettere . Empatizzare , per esempio comporta un certo grado di rispecchiamento facciale non conscio delle emozioni e delle posture , se un terapeuta dovesse tentare di fare questo rispecchiamento basandosi su un ragionamento esplicito il risultato sarebbe legnoso e innaturale “.

“Il contenuto esplicito del vostro intervento sarà mentalistico a prescindere dal vostro orientamento teorico, che vi preoccupiate soprattutto delle reazioni di transfert, dei pensieri automatici negativi o dei ruoli reciproci. Tutti questi approcci comporteranno mentalizzazione esplicita nella misura in cui riescono a migliorare la coerenza delle rappresentazioni mentali di desideri, sentimenti e convinzioni……questi tentativi di mentalizzazione esplicita non avranno successo a meno che guidate il vostro paziente a essere un collaboratore attivo di qualsiasi spiegazione, il vostro lavoro è quello di aiutare il paziente a costruire la sua mente….

Così, in qualsiasi modo interpretiate i meccanismi del cambiamento terapeutico- creare una narrativa coerente, modificare le cognizioni distorte, fornire all’ esperienza emozionale una base sicura, dare insight o semplicemente restituire la speranza-, l’ efficacia dei vostri interventi dipenderà dalla capacità dei vostri pazienti di prendere in considerazione la loro esperienza dei propri stati mentali insieme alla vostra presentazione terapeutica degli stessi. Il riconoscimento da parte dei vostri pazienti della differenza tra la propria esperienza della propria mente e quella presentata da un’altra persona è un elemento chiave degli interventi di mentalizzazione “ .

Come è scritto nella copertina del libro “ Fame “ di Robinson,Skarderud e Sommefeldt, dedicato all’ uso della metalizzazione nel trattamento dei Disturbi alimentari ,“Un orientamento basato sulla mentalizzazione stabilisce un ponte tra la tradizione psicoanalitica, quella cognitivo-comportamentale,e quella sistemica e narrativa”.

La mia formazione è psicoanalitica, ho una conoscenza superficiale degli altri orientamenti della Psicoterapia, per quanto concerne la Psicoanalisi posso affermare che nell’ambito di un approccio sempre più esperienziale che non considera la interpretazione come il principale agente terapeutico, si è progressivamente dotata di un linguaggio che come scrive Correale è rivolto più al fornire un senso che non un significato, un linguaggio dotato di valenze poetiche, rivolto, per dirlo con la fenomenologia, più al comprendere che non al capire, per operare una rielaborazione che sia affettiva prima che cognitiva, capace di fornire validazione e riconoscimento all’ esperienza ed al Sé impegnato ad esperire.

La Mentalizzazione è un nuovo vertice di osservazione, è la sistematizzazione concettuale con indicazioni “operative” di qualcosa che gli Psicoterapeuti con formazione psicoanalitica stavano già facendo. In generale gli autori di “ La mentalizzazione nella pratica clinica” affermano esplicitamente – Lo state già facendo- rivolgendosi a tutti gli Psicoterapeuti indipendentemente dal loro orientamento teorico ed indicando la Mentalizzazione come fattore terapeutico comune di tutte le Psicoterapie efficaci .

“ Nella conduzione della psicoterapia, voi etichettate i sentimenti, ricostruite nella vostra mente l’ immagine della mente del paziente, spiegate le cognizioni e precisate le credenze implicite. Soprattutto vi impegnate nel processo del mirroring, evidenziate il carattere marcato della vostra esposizione di rispecchiamento verbale e non verbale in cui restituite al paziente il suo stato mentale in una forma modificata….voi fornite l’esperienza di essere compresi che genera una esperienza di sicurezza, che a sua volta facilita l’ esplorazione mentale….. Anche se è probabile che la vostra mentre sia concentrata sul contenuto-preoccupazione del paziente per un colloquio di lavoro- il valore  terapeutico ultimo dello scambio deriva dalla attenzione congiunta sull’ esperienza soggettiva del paziente.”

Considero Fonagy un post winnicottiano che propone il nuovo paradigma ( modello) della Mentalizzazione integrando e sviluppando l’ insegnamento di Donald Winnicott con le conoscenze derivate dalla psicologia dello sviluppo infantile, dall’ attaccamento , della teoria della mente e dalle neuroscienze. Chi ha familiarità con il pensiero di Winnicott , a mio avviso  conosce già le basi su cui il pensiero di Foanagy si fonda, mi riferisco ai noti concetti  Winnicottiani per cui il bambino per conoscere la propria mente deve essere stato nella mente della madre,  la madre sufficientemente buona è uno specchio nel cui volto il bambino impara a  riconoscersi. Gli esempi possibili di “ fallimento ambientale” nello sviluppo della Mentalizzazione sono numerosi: il care giver che dice al bambino “hai fame o sei stanco” prescindendo dalla esperienza del bambino stesso, la madre depressa che non riesce a riconoscere e condividere le manifestazioni di gioia del figlio, o quella incapace di calmare il bambino arrabbiato che risponde alle manifestazioni di collera con la collera. Situazioni che si possono definire come mancanza di sintonizzazione, rispecchiamento, riconoscimento e contenimento di emozioni del bambino. Quando le cose vanno bene, come ci ha insegnato Winnicott il bimbo piccolo vede e conosce sé stesso, mediante risposte ( che poi Foangy ha definito marcate e contingenti ) fornite dalla madre, ad es. nel caso della rabbia ” ooh ma quanto è arrabbiato il mio bambino è arrabbiatissimo , dai calmati bimbo bello”.  Ma se nel volto della madre vede la rabbia della madre che gli strilla “ smettila, sei insopportabile “, cosa succede ? Non può differenziare tra sé e la madre, vede la madre e non riesce a fare distinzioni tra sé e la madre, nel suo mondo interno non si cominciano a formare rappresentazioni distinte, riguardano lui o la madre ? La rabbia non viene contenuta , non si gettano le basi mentali per renderla mentalizzabile.

I fallimenti ambientali che vanno da “sottili fallimenti di sintonizzazione a trascuratezze, rifiuti e abusi “ (Morris N. Eaagle “ Da Freud alla psicoanalisi contemporanea “), possiamo affermare in base alla teoria della Mentalizzazione  che rendono le emozioni aporetiche, termine proposto da  Elliot L.Jurist ,  il cui significato etimologico è : a/poros  ossia senza accesso e come scrive   in “ Tenere a mente le emozioni “ ciò renderà molto arduo  riuscire a identificarle , modularle  ed esprimerle . Quanto più è precoce e pervasivo il fallimento ambientale quanto più incide sulle fondamenta del sé danneggiando lo sviluppo del sé e comportando la presenza di tratti rigidi e disadattativi di personalità .

La concettualizzazione della Mentalizzazione come fattore comune delle psicoterapie efficaci anche al di fuori del disturbo Borderline di personalità, credo si possa affermare rimandi all’assunto che la conoscenza emotiva si realizza nell’ infanzia in un contesto relazionale con i care giver che, citando Winnicott possiamo definire “ sufficentemente buoni e, nell’ ottica della Mentalizzazione possiamo definire sufficientemente capaci di  consentire al bambino la rappresentazione mentale di quanto avviene nelle esperienze con loro.

I fallimenti ambientali “ minori” che non hanno le caratteristiche del trauma, ma della indisponibilità psicologica dei genitori ad accogliere manifestazioni  emotive/affettive del bambino rendono sfuocata la rappresentazione di questi affetti ed emozioni e si sedimentano nei pattern relazionali inconsci, l’ impatto clinico è  quindi con emozioni aporetiche , non perché escluse dalla coscienza a causa di conflitti e relative difese ma perché collocate nell’ inconscio implicito dove ci sono contenuti appresi che tendono a riproporsi automaticamente, pertanto nell’incontro con il paziente dobbiamo chiederci se e quali emozioni gli risultano aporetiche,  non dare per scontato che quando le definiamo proponiamo al paziente parole che lo raggiungono ,  e invece, come scrivono Robinson, Skarderud e Sommerfeldt  in “ Fame” dobbiamo “ riattribuire agli eventi i relativi affetti” , “stabilire collegamenti tra azioni e sentimenti” , partendo dal pensare assieme attivazioni emotive/affettive .

Scrive Morris N. EagleI in  ”Da Freud alla psicoanalisi contemporanea”, “ Benchè la formulazione specifica possa variare nelle varie scuole, tutte le teorie psicopatologiche contemporanee sono accomunate dalla ipotesi di fondo secondo cui, sulla base della esperienza precoce con figure genitoriali, l’ individuo acquisisce una serie di rappresentazioni, un tempo forse adeguate, ma che ora sono disdattative  perché provocano sofferenza …( a ciò corrisponde) una concezione della Psicopatologia in gran parte intesa in termini di rappresentazioni disadattative di interazioni tra sé e l’ altro  …. L’influenza delle rappresentazioni inconsce sul funzionamento della personalità è diversa, sotto molti aspetti, da quella dei desideri e degli impulsi inconsci rimossi, ipotizzati dalla teoria classica….sono più simili ad abitudini o abilità motorie che si sono inscritte nelle procedure comportamentali corporee. Dunque non sembra ragionevole pensare che queste rappresentazioni e procedure lottino per l’espressione nella coscienza e la gratificazione tramite l’azione, come invece è il caso dei desideri e delle fantasie rimossi. Essendo procedure apprese, esse guidano implicitamente e in modo silente le aspettative e i modelli comportamentali dell’individuo. “

Questi concetti ritengo possano costituire un linguaggio comune per un dialogo clinico tra Psicoanalisi, Cognitivismo e Terapia cognitivo-analitica, e sono una cornice in cui possiamo collocare  l’ apporto della Teora della Mentalizzazione  evidenziando come i fallimenti ambientali  lasciano un deficit nella capacità di identificare , modulare, esprimere, le emozioni e gli affetti coinvolti  nella interazione tra il bambino e l’ ambiente in cui si è verificato il fallimento ambientale.  I pattern interpersonali inconsci che causano sofferenza  (che corrispondono alle varie rappresentazioni sé/altro con il relativo correlato affettivo –Kernberg- ed ai Moduli Operativi Interni –Bowlby- ), comportano la formazione di aree emotivo/affettive aporetiche perché nell’ ambito delle esperienze dei fallimenti ambientali non si sono create le condizioni perché  gli aspetti emotivi/affettivi potessero essere rappresentati nella mente. C’è stato un fallimento nella capacità mentalizzante dei genitori nell’ offrire la loro mente al bambino perché potesse conoscere la propria.  Le sollecitazioni riguardanti queste aree emotivo /affettive si scontrano con un deficit della capacità di mentalizzare l’esperienza soggettiva vedendo la propria mente dall’ esterno e quella dell’ Altro dall’ interno.

L’atteggiamento mentalizzante in Psicoterapia è quindi rivolto al creare le condizioni per cercare parole che raggiungano il paziente nel suo sentire evitando di dire cosa stava provando senza prima averlo esplorato, ponendo domande aperte : -cosa ha sentito lei in quella situazione ?- , -cosa pensa che ha pensato di lei quella persona in quella situazione ?-. Dando sempre un accento esplorativo agli interventi : – mi pare che stia riflettendo su come dovere piacere per non sentirsi esposto al rischio di venire mortificato, le  risulti molto faticoso è così? –

L’ atteggiamento mentalizzante è anche correlato ad una maggiore consapevolezza della conoscenza automatica implicita in atto  durante le sedute, ad una attenzione più consapevole rivolta al non verbale, alla postura, alla espressione del volto , al tono della voce. Richiede l’essere sensibili e recettivi a cosa ci fa sentire  inteso come –provare, esperire –  il paziente e a cosa sta sentendo il paziente nel rapporto con noi. L’ importanza dell’ interrogarci sul nostro sentire  e pensare nel rapporto con il paziente, per avere in mente la sua mente , nell’ ambito della Psicoterapia psicoanalitica corrisponde alla necessità per il terapeuta di mantenere una funzione riflessiva sul proprio Controtransfert ( che e a ben pensarci non è poi così dissimile da quanto fa il genitore sufficientemente mentalizzante che nel rapporto con il bambino riesce a  rappresentarsi gli stati mentali del figlio differenziandoli dai propri,  ad es. nel rapporto con il bambino che fa i capricci riesce a rappresentarsi se è il bambino ad essere particolarmente capriccioso e perché, o se è lui genitore  che è stanco  e irritabile.)

Non si insiste troppo sul passato sia perché il passato non lo si può cambiare, sia perché si rischia di alimentare un atteggiamento recriminatorio e risarcitorio verso i genitori .Se dopo anni e anni di Psicoterapia ancora si insiste sul passato è perché qualcosa non sta funzionando, la Psicoterapia dopo avere chiarito la passata origine ambientale  delle  rappresentazioni relazionali disadattative sé/ altro che causano sofferenza, dovrebbe essere concentrata soprattutto sul presente, sull’ identificare e mentalizzare come si attualizzano nelle relazioni del presente. L’ eccessivo insistere sul passato può diventare un ripiegamento perché nel presente non si fanno passi in avanti.

Scrive Elliot L. Jurist in “ Tenere a mente le emozioni” “I terapeuti cognitivo comportamentali mentalizzano  , gli Psicoanalisti mentalizzano  .

I terapeuti MBT ( Terapia Basata sulla Mentalizzazione) fanno un ulteriore passo , mentalizzano e condividono i loro processi di mentalizzazione con i pazienti, spingendo questi ultimi a fare lo stesso….…La mentalizzazione congiunta rappresenta(infatti) l’ elemento di base perché il paziente possa fare una esperienza nuova e soddisfacente attraverso la relazione terapeutica” .

”Camilla Von Below nella giornata di studio del 22/10/2022 organizzata dal Centro Psicoanalitico di Milano ha presentato una interessantissima ricerca condotta dalla Università di Stoccolma presso cui è docente e ricercatrice , sugli insuccessi della terapia psicoanalitica nei giovani adulti, basata su interviste sia ai pazienti che ai terapeuti al termine delle terapie che non erano andate bene.

Ha portato l’ esempio di Sally che nella intervista ha detto : “ la terapeuta era silenziosa , sembrava disinteressata, era gentile ma facevo fatica a intervenire perché mi sembrava più saggia di me . “

La terapeuta ha detto :” la terapia era cominciata bene la relazione era buona , poi ho percepito l’ allontanamento emotivo di Sally come che diventasse silenziosa, evitava di parlare. “

Nota bene, la terapeuta utilizzava transfert e controtransfert ed era prudente a intervenire, per scelta, perché la madre di Sally era intrusiva.

Questo è un esempio delle conclusioni a cui ha portato la ricerca, l’ insuccesso della terapia era causato dalla assenza di mentalizzazione congiunta, dal non capire del terapeuta che la paziente non stava mentalizzando. Von Below ha ribadito l’ importanza di fare domande al paziente, di metacomunicare su quello che sta capitando nella relazione. Pe risvegliare la mentalizzazione  dell’ esperienza occorre porre domande aperte nel qui ed ora. Con Selly, ha commentato Von Below, la terapeuta poteva chiedere  “ quando ti faccio domande resti silenziosa , forse era così anche con tua madre , per difenderti ?”.

La ricerca indica la necessità di  mantenere la mentalizzazione congiunta, e un approccio terapeutico mentalizzante ossia: Mantenere la posizione del non sapere ( anche se siamo esperti di Psicoterapia non siamo esperti della mente del paziente ).

Mantenere l’atteggiamento esplorativo, porgere la propria mente a quella del paziente per una esplorazione comune della sua mente. Rappresentarsi che idealmente si è seduti assieme uno accanto all’ altro osservando gli accadimenti mentali e assieme si fanno scoperte.

Non presentarsi come colui che già sa, usare il forse, usare il punto interrogativo.

Fare domande, chiedere cosa sta capitando .

Sottolineo che la ricerca riguarda la Psicoterapia psicoanalitica, non la Psicoanalisi con il paziente sul lettino .

Credo che in una psicoanalisi ben condotta il contatto intrapsichico e interpsichico con il mondo affettivo del paziente si può dispiegare nel contesto del Transfert/Controtransfert dentro la cornice di un setting articolato in tre se non quattro sedute settimanali dove l’ analista accoglie proiezioni e identificazioni proiettive di stati emotivi/affettivi aporetici, ossia non accessibili, rendendoli accessibili, i terapeuti esperti nella Mentlizzazione mettono però in guardia gli Psicoanalisit sul rischio che se non si identificano le modalità di pensiero pre-mentalistiche in particolare quella del- Fare finta- , tutta l’ analisi può svolgersi nella finzione di un contatto affettivo intrapsichico e interpsichico tra analista e paziente  che in realtà non si è mai stabilito.

Comunque tutto cambia nel contesto di un Psicoterapia “ viso a viso” senza uso del lettino , articolata in un incontro settimanale, dove tra terapeuta e paziente si svolge un dialogo, le libere associazioni del paziente e  l’ attenzione fluttuante del terapeuta  sono marginali.

In ambito propriamente psicoanalitico, tra le tante gemme della Psicoanalisi contemporanea voglio citare l’apporto di Antonino Ferro che descrivendolo con altri termini e da un differente vertice di osservazione, ciò che Foangy e collaboratori hanno definito Mentalizzazione,  sottolinea  come  di per sé abbia dei limiti rispetto alla capacità di rendere rappresentabile  la attivazione emozionale : “ Una delle maggiori difficoltà della nostra specie è quella di  riuscire a vivere le mozioni, a causa di una difettualità del nostro sviluppo mentale. Le emozioni sono qualcosa che per essere vissuto necessita di un lavorio a monte che presuppone l’ integrità di alcuni apparati che le rendono assimilabili, gestibili, contenibili” Antonio Ferro , incipit di “ Evitare le emozioni, vivere le emozioni”.

Tra i tanti grandi autori del secolo scorso è necessario ricordare almeno Bion e la sua concettualizzazione degli elementi Beta  , proto emozioni che la mente non può pensare  e tende ad espellerle da sé stessa.

In una analisi la Mentalizzazione si dispiega nella lunga gestazione dentro il  grembo della relazione analitica  dove sono ammesse attese anche lunghe, silenzi, condivisioni di stati affettivi lasciati non verbalizzati aspettando che maturino le parole per verbalizzarli, e l’ Analista di prassi non interrompe il flusso delle libere associazioni.

Nel contesto di una Psicoterapia il tempo della attesa è decisamente minore, il silenzio del terapeuta comporta il rischio del drop out del paziente, l’ atteggiamento del terapeuta deve essere più attivo.

Per attivare la Mentalizzazione in Psicoterapia  è necessario ricorrere ad un uso attivo delle domande che promuovono la mentalizzazione, mantenendo la posizione del non sapere, cito a questo proposito “ Fame” :

“La posizione del “non sapere” è essenziale per promuovere la mentalizzazione,… spiegami come funziona trasmette al paziente l’idea che dovrà aiutare il terapeuta a comprendere il più chiaramente possibile le sue esperienze.…

Nell’MBT, partiamo dalla consapevolezza di avere un’idea molto vaga di ciò che passa davvero per la testa del paziente. Soltanto persuadendolo a parlare dei suoi stati mentali potremmo avvicinarci a una reale comprensione…..Possiamo porre domande aperte, come: “spiegami meglio”; domande chiuse, come “Perché da lunedì scorso hai cominciato a saltare la colazione?” ,domande circolari, tipiche della terapia sistemica: “Cosa immaginavi che ti avrei detto scoprendo che hai smesso di fare colazione?” o semplici richieste di approfondimento: ”Dimmi di più su questo tema”….Riportiamo di seguito l’esempio di un intervento breve: “Cerchiamo di capire meglio cosa è successo la notte scorsa quando ti sei abbuffato e poi hai vomitato. Mi hai detto che farlo ti ha dato un senso di controllo. Spiegami bene come funziona.”

“L’adattamento alla capacità di mentalizzare è essenziale. Questa competenza si fonda sull’abilità di entrare in sintonia con l’altro e di andare a cercarlo lì dove si trova.”

“Un altro intervento rilevante consiste nell’uso dei tasti stop e rewind. Se un paziente ci racconta in maniera affrettata un evento o sentimento, senza approfondirlo come meriterebbe, possiamo interromperlo e chiedergli di “tornare indietro”. …

La richiesta di chiarimenti è importante, anche se talvolta può essere sperimentata come pedante. Il ricorso allo stop e rewind si rivela particolarmente utile per affrontare le modalità del far finta, i luoghi comuni, le affermazioni generiche. L’obbiettivo è di riattribuire agli eventi i relativi affetti.”

Credo che le Domande mentalizzanti siano correlate a tutti quegli  interventi verbali esplorativi che cercano la conoscenza assieme al paziente e sono comuni a varie Psicoterapie  e la cui importanza è stata a lungo, forse, sottovalutata:

La chiarificazione, in cui il terapeuta sottolinea sentimenti confusi e accompagna il paziente nel lavoro congiunto per chiarirli .

La confrontazione con cui il terapeuta confronta il paziente con le contraddizioni in ciò che ha detto .

Il riprendere e sottolineare i sentimenti presenti nella comunicazione.

L’ attenzione ad emozioni ed affetti che si attivano nel qui ed ora del rapporto con il paziente.

L’ invitare il paziente se è eccessivamente introspettivo a prendere in considerazione il vissuto degli altri, invitarlo invece se è eccessivamente rivolto agli altri  a concentrarsi sul proprio vissuto .

Per chiarire cos’ è un atteggiamento mentalizzante ritengo utile riportare  una vignetta clinica  tratta da “ La mentalizzazione nella pratica clinica”:  – Dopo una vacanza un paziente torna in terapia e saluta il suo terapeuta allegramente. Appena si siede la sua mente si svuota, non può pensare a qualcosa da dire, e si sente decisamente a disagio a guardare il terapeuta. Una possibile interpretazione potrebbe essere :“Sa, ho sentito prima che era molto felice di rivederemi, e il suo modo di esprimersi è stato molto affettuoso.  Ora mi sembra sia terribilmente imabarazzato dai suoi sentimenti , forse perché pensa che io pensi che i suoi sentimenti sono ridicoli ?                                                                                 . …l’ interpretazione sembra un po’ troppo definitiva in base ai dati, nonostante il forse. Un approccio più esplorativo potrebbe essere il seguente:  “ Prima sembrava felice di rivedermi, e ora mi sembra a disagio. Ho ragione ? Se è così, cosa è cambiato ? “.

Dallo stesso libro riporto quanto scritto a proposito di ciò che non è mentalizzante:  “Prestiamo attenzione al linguaggio per sostenere una posizione di non conoscenza. Ancora una volta, ci rendiamo conto che questo atteggiamento è controintuitivo: comprensibilmente, in quanto terapeuti potete essere inclini a muovervi rapidamente nel consigliare o nel fare qualcosa per aiutare il paziente. Ma raccontare ai pazienti com’è la loro mente o cosa devono fare è, in un certo senso, farsi carico della loro mente; se aderiscono, vi stanno permettendo di riflettere per loro o di vivere la loro vita, compresa la loro vita mentale. Farsi carico della mente del paziente non stimola la sua capacità di mentalizzazione, ma piuttosto la riduce. I pazienti hanno solo due scelte quando viene loro detto cosa c’è “realmente” nella loro mente o, per esempio, che stanno “solo” esagerando: possono accettare il punto di vista del terapeuta in modo acritico, oppure possono rifiutarlo definitivamente. Entrambe le reazioni sono non mentalizzanti.”

Utilizzando una metafora credo si possa affermare che Mentalizzazione sia non dare il pesce al paziente ma insegnargli a pescare.

Alessandra Lemma , Mary Target e Peter Fonagy in “ Terapia dinamica interpersonale breve , scrivono “ Il terapeuta è particolarmente interessato a rendere esplicito ciò che è diventato procedurale ( implicito) …dovrebbe essere attivamente coinvolto ed emotivamente sintonizzato sull’ esperienza soggettiva del paziente…empatizza con l’ esperienza soggettiva del paziente e, allo stesso tempo, mantiene viva una curiosità sul suo significato inconscio, piuttosto che dare consigli o risolvere problemi…si sforza di adottare una posizione di non sapere…l’ enfasi viene posta sul lavorare in modo collaborativo “ .

In conclusione dell’ articolo propongo un mio personale contributo per raggiungere in Psicoterapia il paziente là dove si trova , perseguendo l’ obiettivo di  una esplorazione congiunta della sua mente per riattribuire agli eventi i relativi affetti  e di identificarli , modularli, esprimerli nel contesto della relazione terapeutica . La esperienza come Psicodrammatista in qualità di co-conduttore di un gruppo di Psicodramma psicoanalitico privato e di conduttore nel pubblico di un gruppo per pazienti del’ area Borderline, è stata molto interessante, istruttiva, appassionante. Ho constatato che lo Psicodramma consente di mettere vento nelle vele della mentalizzazione, il gruppo offre risonanza agli affetti ed alle emozioni, consente il confronto con una pluralità di punti di vista,  aiuta a vedere la propria mente dall’ esterno e quella degli altri dall’ interno grazie agli scambi di ruoli. Ho anche maturato la convinzione che le interpretazioni conclusive date dal conduttore possono essere una pesante zavorra per la mentalizzazione essendo sempre presente il rischio  che chiudano  l’ incontro senza diritto di replica, dicendo cosa c’è realmente nella mente del gruppo e dei singoli partecipanti.

Ho tratto dalla mia esperienza come Psicodrammatista l’uso del Doppiaggio, modificato ed adattato ad una terapia individuale e non di gruppo. Nello Psicodramma il Doppiaggio indica l’avvicinarsi ad un paziente da parte del conduttore o di un altro componente del gruppo per parlare in suo nome, nello specifico mi riferisco al  dare  voce a emozioni e affetti che ha provato chi doppia, identificandosi con il paziente doppiato, e che il paziente non ha espresso . In Psicoterapia individuale non svolgo l’azione del doppiaggio , non mi metto alle spalle del paziente per dire io cosa lui ha provato, al di fuori del gioco dello psicodramma sarebbe quanto di più antimentalizzante potrei fare,  ma comunico al paziente cosa io  ho provato identificandomi con lui mentre raccontava un episodio significativo della sua vita relazionale presente o passata, non dico che ho raggiunto il suo reale sentire ma comunico cosa ho sentito io mettendomi nei suoi panni, comunico il mio sentire e il mio soggettivo punto di vista, ad esempio : “ Mentre mi raccontava di come con l’ arrivo di fratelli e sorelle lei ha avuto sempre meno spazio in casa ed ha dovuto fare sempre meno richieste ai genitori, beh ecco io mettendomi al suo posto  mi sono sentito triste e  arrabbiato, mi chiedo e le chiedo  se non si è mai sentito così. Lei mi ha riferito ricordi che in me risuonavano come dolorosi senza mostrare alcun segno di dispiacere “.  A questo mio commento il paziente ha risposto constatando che in qualità di fratello maggiore  non dava mai problemi ai suoi genitori e successivamente siamo arrivati a rappresentarci, assieme, i genitori come affaticati e indisponibili ad accogliere sue manifestazioni di sofferenza.

Avviene che il paziente non trovi corrispondenza tra quanto ho provato io identificandomi con lui ed il suo sentire, ma  generalmente  mostra di  apprezzare l’ avere trovato nella mia mente una disponibilità psicologica utilizzabile , citando Bowlby ,come base sicura  da cui partire per esplorare la propria mente . Ad esempio una paziente ha disconfermato il mio intervento “Mettendomi al suo posto mi pare che lei sperimenti una dolorosissima gelosia, è così? “, e nelle sedute successive esplorando assieme la sua mente è arrivata a rappresentarsi ed a farmi rappresentare come quando non si sente la centro del desiderio del suo fidanzato sperimenta una dolorosissima angoscia abbandonica e la gelosia è totalmente secondaria.

Infine per quanto riguarda l’utilizzazione della Mentalizzazione nell’ ambito della Psicoterapia psicoanalitica, credo che varie sue indicazioni tecniche vadano modulate a seconda delle caratteristiche del paziente e della fase della psicoterapia, ad esempio l’atteggiamento attivo del terapeuta ed il porre domande non può essere un dogma, quando il paziente si sta impegnando a compiere in autonomia una esplorazione mentalizzante di sé e della sua storia e  ci comunica un contatto affettivo, se lo ascoltiamo con interesse e partecipazione non provando la noia che generalmente si esperisce quando vengono riferiti solo eventi senza i relativi affetti, credo sia necessario che il terapeuta rimanga in silenzio e manifesti la sua partecipazione con brevissimi commenti che risultino come  un incoraggiamento nel procedere. Sempre con riferimento alla Psicoterapia psicoanalitica, il terapeuta non credo possa sostare troppo a lungo solo nella posizione del “ non sapere”, ma debba anche sapersi proporre come colui che qualcosa sa del conflitto e lo sa indicare , nell’ esempio portato da Von Below  è la frase “quando ti faccio domande resti silenziosa , forse era così anche con tua madre, per difenderti ? “, facendo riferimento alla Terpia Dinamica Interpersonale occorre proporre dei focus affettivi/interpersonali.

La Mentalizzazione in Psicoterapia psicoanalitica, ci aiuta a concentrarci sulla mentalizzazione del Transfert , prima che sulla sua interpretazione, non esclude l’ uso della Interpretazione che è e rimane un importante intervento terapeutico. Come già anticipava magistralmente Morris N. Eagle in “ Da Freud alla psicoanalisi contemporanea “a proposto della Interpretazione , “Una funzione primaria della Interpretazione è…di aumentare la curiosità e la motivazione del paziente a esplorare il funzionamento della propria mente, che cosa fa il paziente, quali manovre mette in atto quando prova ansia, vergogna, colpa o incertezza rispetto a qualcosa, quali sono le sue aspettative e rappresentazioni implicite rispetto agli altri significativi e a sé stesso, quali le sue convinzioni rispetto al funzionamento della mente degli altri “; anche se l’ autore non la definisce così , questa è una ottima descrizione della interpretazione mentalizzante .

Claudio Roncarati

Bibliografia essenziale

Jon G. Allen, Peter Fonagy, Antony W. Bateman
La mentalizzazione nella pratica clinica
Raffaello Cortina Editore

Anthony Bateman Peter Fonagy
Il trattamento basato sulla mentalizzazione
Raffaello Cortina Editore

Morris N. Eagle
Da Freud alla psicoanalisi contemporanea
Raffaello Cortina Editore

Antonino Ferro
Evitare le emozioni, vivere le emozioni
Raffaello Cortina Editore

Elliot L. Jurist
Tenere a mente le mozioni
Raffaello Cortina Editore

Alessandra Lemma , Mary Target, Peter Fonagy
Terapia dinamica interpersonale breve
Raffaello Cortina Editore

Edoardo Razzini
lo psicodramma psicoanalitico
Raffaello Cortina Editore

Paul Roninson, Finn Skarderoud, Bente Soomerfeldt
FAME
Casa Editrice Astrolabio

Donald W. Winnicott
I bambini e le loro madri
Raffaello Cortina Editore

Dalla pediatria alla psicoanalisi
Martinelli Editore